Risarcimento danni da ambiente di lavoro ostile

Risarcimento danni da ambiente di lavoro ostile.

Mini guida in materia di straining basata sui più recenti orientamenti della Corte di Cassazione Sez. Lavoro.

Nel caso in cui il datore di lavoro costringa un dipendente a lavorare in un ambiente ostile, mostrando incuria e disinteresse per il benessere lavorativo di questi, ebbene il primo può essere chiamato a rispondere per violazione dell’art. 2087 c.c., dal momento che in forza dell’espressa disposizione di legge l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro.

Come riconoscere le situazioni lavorative stressogene
Per arrivare a riconoscere chiaramente la natura stressogena (straining) di una determinata circostanza lavorativa, occorre indagare sugli effetti prodotti da questa situazione lesiva.
Lo stress (risarcibile) dunque affiora nel momento in cui provoca nel lavoratore una modificazione in negativo, costante e permanente, della sua situazione lavorativa, modificazione incisiva al punto da pregiudicare la sua salute.

Come abbiamo infatti sopra accennato, il datore di lavoro è obbligato ad evitare situazioni potenzialmente lesive per il proprio dipendente.
In buona sostanza: l’imprenditore / datore deve evitare tutte quelle situazioni che possano far scattare condizioni peculiari che per gravità, livello di frustrazione personale o professionale o altre circostanze del caso concreto, riconducano a questa particolare forma di danno.
E’ bene precisare che, stando agli orientamenti giurisprudenziali più accreditati (cfr. la recente sentenza della Cassazione lavoro n. 12437/2018), in giudizio tale danno può al limite anche prescindere dalla prova rigorosa di un preciso intento persecutorio.

Come capire quando il datore ha danneggiato il dipendente
Abbiamo parlato di situazioni lavorative più che borderline: diciamo smarcatamente stressogene e, come tali, lesive del diritto alla salute del lavoratore, costituzionalmente protetto.
Tanto per fare un esempio (ma la casistica che emerge dalle sentenze è vasta): pensiamo all’improvvisa estromissione del dipendente bancario da un ruolo direttivo, magari accompagnato da un atteggiamento ostile e di scherno posto in essere anche con il supporto subdolo di missive offensive distribuite in azienda, il tutto senza l’intervento del datore per proteggere in tutto o in parte il dipendente.

Come dimostrare i danni
La prova in causa del danno non patrimoniale, inteso questo come lesione del diritto al normale svolgimento della vita lavorativa ed alla libera esplicazione della propria personalità sul luogo di lavoro (anche nel significato areddituale della professionalità), può essere fornita anche con presunzioni.

La prova del danno alla professionalità da perdita di chances, tenuto conto degli effetti prodotti dalla condotta datoriale (pensiamo all’estromissione del dipendente da un settore strategico dell’azienda ove egli stava progressivamente incrementando le proprie conoscenze tecniche e gestionali), può portare il giudice ad accordare un risarcimento con liquidazione equitativa, ad esempio quantificando una percentuale del trattamento retributivo spettante al dipendente.

fonte: http://www.studiocataldi.it/

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