Componenti reddituali ad efficacia pluriennale: termine di accertamento

Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione dettano le regole sul termine di decadenza per l’accertamento dei componenti reddituali (sentenza n. 8500/2021).

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 26 gennaio – 25 marzo 2021, n. 8500, Sezioni Unite,ha preso posizione, perseguendo la propria funzione nomofilattica, in merito ad una tematica, apparentemente non particolarmente controversa ma, relativa ad una questione di massima di particolare importanza per la quale ha pronunciato il seguente principio di diritto:

nel caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale per ragioni diverse dall’errato computo del singolo rateo dedotto e concernenti invece il fatto generatore ed il presupposto costitutivo di esso, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento va riguardata, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato, non già in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio”.

Il tema del termine di accertamento dei costi pluriennali è caratterizzato da due argomenti assolutamente pregnanti che lo attraversano e lo connotano:

  1. il principio di autonomia del periodo di imposta (art. 7, c. 1, T.U.I.R.);
  2. l’efficacia espansiva del giudicato esterno su fatti aventi efficacia permanente o pluriennale.

Orbene, il caso in esame aveva ad oggetto tematiche estremamente complesse e settoriali che riguardavano la svalutazione su crediti degli intermediari finanziari (art. 106, c. 3, T.U.I.R., modificato dopo i fatti di causa) ma, tuttavia, la questione devoluta alle Sezioni Unite rivestiva e riveste “una casistica ampia e di notevole riscontro pratico, caratterizzata dalla rilevanza pluriennale di determinati componenti reddituali”.

Donde, l’opportunità, in seguito a ordinanza di rimessione (Cass. Civ. Sez. V, Ord., 5 giugno 2020, n. 10701) della pronuncia a Sezioni Unite.

 La controversia oggetto del giudizio e l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite

L’Amministrazione finanziaria ha notificato, nei confronti di un intermediario finanziario, ritenuto stabile organizzazione in Italia di società residente all’estero (segnatamente in Olanda) un avviso di accertamento ai fini I.R.E.S. ed I.R.A.P. per l’anno 2004, a mezzo del quale contestava la deduzione della quota di un nono dell’ammontare dell’eccedenza della svalutazione del credito erogato di altre società di capitali, maturata e iscritta per la prima volta in bilancio nell’esercizio 2003.

La ricorrente ha agito in giudizio impugnando l’avviso di accertamento, e deducendo, tra le altre doglianze e per quanto qui di interesse, l’intervenuta decadenza dell’Amministrazione finanziaria in quanto essa non aveva proceduto a rettificare la svalutazione del credito nel primo periodo d’imposta in cui tale componente passiva è stata esposta: pertanto, ad avviso della contribuente, non era possibile considerarsi legittima la rettifica dei ratei relativi annualità successive basati sul medesimo presupposto costitutivo.

La Commissione Tributaria Provinciale, così come quella Regionale investita del gravame, hanno accolto la tesi difensiva della contribuente: in entrambi i gradi di giudizio di merito, infatti, i giudici hanno ritenuto che la pretesa impositiva fosse illegittima proprio a causa del mancato disconoscimento, nei termini, dell’iniziale esposizione della svalutazione pluriennale nel bilancio 2003 della stabile organizzazione.

Per entrare maggiormente nel dettaglio, ad avviso della Commissione Tributaria Regionale (che si è occupata del giudizio di appello, C.T.R. Lombardia, 74/5/13) l’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto soltanto verificare che la quota dedotta non eccedesse la percentuale di deducibilità consentita secondo la ripartizione pluriennale costante (nella specie un nono).

La sentenza di appello è stata impugnata dall’Amministrazione finanziaria la quale ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione affermando che l’Ufficio non è tenuto a disconoscere subito il costo spalmato su più esercizi, in quanto tale attività non sarebbe un “onere” in capo al Fisco che, se non tempestivamente adempiuto, preclude il recupero d’imposta per le annualità successive. Peraltro, ha osservato l’Agenzia delle Entrate, ciascuna annualità è caratterizzata, ex art. 7 T.U.I.R., da autonoma rilevanza.

La controversia, inizialmente assegnata – ratione materiae – alla sezione tributaria della Cassazione, è stata rimessa, considerata la sua rilevanza pratica, alle Sezioni Unite.

Ed invero, la questione oggetto del giudizio non riguardava solamente la svalutazione di crediti ma ogni fattispecie reddituale ad efficacia pluriennale e, su tale questione, non sempre sono state adottate soluzioni concordanti. Pertanto, come anticipato, con la citata ordinanza n. 10701/2020, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite.

I Giudici della V Sezione hanno rilevato come la tesi della effettiva decadenza dell’amministrazione finanziaria in ipotesi di mancata tempestiva rettifica della dichiarazione di prima emersione del componente pluriennale, sostenuta negli arresti giurisprudenziali precedenti (Cass. Civ. Sez. V, Sent., 24 aprile 2018, n. 9993 e Cass. Civ. Sez. V, Ord., 31 gennaio 2019, n. 2899), non appariva particolarmente persuasiva.

Più precisamente, i Giudici rimettenti hanno evidenziato come, in precedenza, la giurisprudenza si fosse orientata ad affrontare la tematica secondo il seguente principio: “in tema di accertamento, nell’ipotesi di beni ammortizzabili, il termine di decadenza per l’esercizio del potere impositivo decorre dall’annualità nella quale è stata presentata la dichiarazione in cui i costi sono stati concretamente sostenuti e la quota di ammortamento è stata iscritta in bilancio, rispetto alla quale sorgono i presupposti del diritto alla deduzione, a ciò non ostando il principio di autonomia dei periodi di imposta, che non opera in relazione a situazioni geneticamente unitarie ma destinate a ripercuotersi su annualità successive, e non potendo il contribuente, come peraltro affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 280 del 2005, essere esposto all’azione del Fisco per un periodo eccessivamente dilatato” (in questi termini, la citata Cass. Civ. n. 9993/2018).

Questa tesi, secondo quanto risultante dall’ordinanza di rimessione n. 10701/2020, è apparsa fallace e, pertanto, è stato richiesto l’intervento delle Sezioni Unite, le quali sono state investite della questione inerente alla decadenza dal potere di accertamento nei casi di contestazione di un componente reddituale pluriennale.

La citata ordinanza di rimessione (ord. 10701/2020), infatti, ha posto il seguente quesito di diritto: “se la decadenza dalla potestà impositiva dell’amministrazione finanziaria, che intenda contestare una svalutazione dei crediti risultanti in bilancio e, più in generale, un componente di reddito a efficacia pluriennale per ragioni che non dipendono dal mero errato computo del singolo rateo di esso, si determini con il decorso del termine per la rettifica della dichiarazione dove è indicato il singolo rateo in cui il componente reddituale pluriennale è suddiviso ovvero con il decorso del termine per la rettifica della dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui il componente reddituale pluriennale è maturato ed è stato iscritto per la prima volta in bilancio”.

 La pronuncia delle Sezioni Unite

La sentenza in commento analizza le varie interpretazioni a tange molteplici istituti per giungere all’affermazione del principio di diritto sopra riportato.

Ad ogni modo, come già anticipato, il cuore della vicenda concerne le questioni interpretative che gravitano attorno alla decadenza dal potere di accertamento ex art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 in relazione alle componenti reddituali che esplicano efficacia pluriennale:

  • il principio dell’autonomia di ciascuna annualità solare di imposta (art. 7, c. 1, T.U.I.R.)
  • la regola processuale dell’efficacia espansiva del giudicato esterno su fatti aventi efficacia permanente o pluriennale.

Tali concetti assumono valenza fondamentale nell’impostazione interpretativa offerta dalle Sezioni Unite.

Il Consesso ha inteso offrire una soluzione unitaria al problema giuridico sollevato nell’ordinanza di rimessione.

Ad avviso delle Sezioni Unite, in ragione della periodicità (annuale) dell’imposta sul reddito (e della relativa dichiarazione), anche l’accertamento (da notificare, ex art. 43, d.P.R. n. 600/1973, “a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione”) godrebbe di una autonoma decorrenza.

Secondo la Suprema Corte, dunque, il termine di accertamento “si “rinnova” dunque di anno in anno, nel senso che il suo oggetto è il controllo del reddito di ciascuna singola annualità presa in esame, e siccome il reddito verificato costituisce, come detto, un dato complessivo unitario costituente l’esito dell’interdipendenza di una molteplicità di componenti rilevanti, la sua verifica neppure si presta ad essere limitata a taluni componenti soltanto, con la salvezza di altri (quelli pluriennali) che, in ipotesi, non siano stati sottoposti a verifica negli anni precedenti; altrimenti, si verrebbe ad introdurre un limite di accertabilità, non solo temporale ma anche contenutistico, di cui non vi è riscontro nella legge (non potendosi esso ravvisare, in particolare, in quanto disposto, sull’oggetto dell’accertamento, negli artt. 39 e 40 D.P.R. cit.). Da ciò consegue che l’accertamento deve essere possibile, su ogni annualità, anche con riguardo al fatto costitutivo dell’elemento pluriennale dedotto e non soltanto alla correttezza della singola quota annuale di deduzione”.

In altre parole, secondo questa importante pronuncia, l’Amministrazione finanziaria non ha alcun “obbligo”, presieduto da decadenza o preclusione, di contestare il componente pluriennale fin dalla sua prima dichiarazione, trattandosi di una mera “facoltà” in capo all’Ente Pubblico che così può procedere al fine rettificare comportamenti e scelte del contribuente ritenute non corrette.

La seconda questione affrontata dal Collegio concerne la preclusione del giudicato ultrannuale.

Rispetto a tale tematica, si legge nella Sentenza, si tratta di questione che concerne il merito dell’imposizione, ovvero la sussistenza o insussistenza sostanziale dei suoi componenti fattuali o di qualificazione giuridica. I giudici compiono un articolato percorso motivazionale analizzando i vari orientamenti interpretativi fondati su molteplici e diverse tematiche e giunge ad affermare che il giudicato ultrannuale non avrebbe alcuna correlazione con la potestà accertativa dell’Ufficio: infatti, il giudicato non preclude l’accertamento in sé, ma opera rispetto all’esito dell’accertamento e in merito alla pretesa impositiva. Pertanto, una operazione sarebbe intangibile solamente quanto il giudicato ne affermi la sua legittimità.

 Considerazioni conclusive

La pronuncia in commento assume una notevole importanza non solo in ragione del fatto che è stata emessa dalla Suprema Corte a Sezioni Unite ma, soprattutto, perché dovrà essere presa in considerazione dagli operatori economici che avranno l’onere, in primo luogo, di conservare tutta la documentazione inerente alle componenti reddituali aventi efficacia pluriennale anche oltre il termine massimo previsto dalle singole leggi di imposta o dallo Statuto dei Diritti del Contribuente.

La stessa Corte evidenzia che, nel nostro ordinamento, non sono affatto remote le ipotesi di componenti reddituali che esplicano effetti su plurimi periodi di imposta: al riguardo, nella sentenza, oltre a richiamare – ovviamente – proprio la questione della deducibilità della svalutazione del credito o degli interessi passivi, si pone mente, per esempio, a tutta la tematica delle detrazioni di imposta ex art. 16-bis del T.U.I.R.

Oggi, in seguito alle norme introdotte in occasione dell’emergenza epidemiologica COVID-19, si pensi anche alle agevolazioni previste dall’art. 119, d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. superbonus 110%).

Pertanto, appare evidente che la tematica oggetto della sentenza presenta significative e pregnanti ripercussioni nella vita di cittadini ed imprese.

Purtroppo, come peraltro prontamente segnalato dalla dottrina, le ripercussioni sui contribuenti sono assolutamente gravose perché impongono un onere di conservazione della documentazione che può raggiungere anche una durata di 30 o 40 anni (si pensi ai casi di ammortamento di beni immobili).

Non è ragionevole pensare che, nel breve periodo, la Suprema Corte riveda il proprio orientamento e, pertanto, appare necessario che i contribuenti, a loro tutela, si adoperino da subito per conservare la documentazione relativa alle operazioni economiche che danno luogo a componenti reddituali aventi efficacia pluriennale.

fonte: http://www.altalex.com/

Decreto sostegni bis: tutte le misure

Ecco tutte le misure contenute nel decreto sostegni bis, dai contributi a fondo perduto al rinvio delle cartelle agli aiuti per le famiglie.

Pubblicato in Gazzetta del 25 maggio 2021 e in vigore dal giorno successivo il decreto n. 73/2021 (sotto allegato) approvato in Consiglio dei Ministri su proposta del Premier Mario Draghi, noto come Decreto Sostegni Bis.

Grazie all’autorizzazione dello stanziamento di 40 miliardi di euro da parte del Parlamento è quindi possibile mettere in atto ulteriori misure per contrastare la diffusione del contagio e combattere contro le ripercussioni negative che la pandemia ha inevitabilmente prodotto a livello sociale ed economico. Con questo provvedimento si interviene soprattutto nelle seguenti aree: imprese, accesso al credito e liquidità, salute, lavoro e politiche sociali, aiuti agli enti territoriali, scuola, ricerca e giovani e interventi di carattere settoriale.

Attenzione anche per gli enti territoriali in difficoltà, per i quali sono previsti aiuti per il trasporto pubblico locale e per compensare le minori entrate dell’imposta di soggiorno. A queste si aggiunge l’istituzione di un Fondo che servirà per risanare quei Comuni che presentano un disavanzo strutturale. Finanziamento straordinario poi per consentire ad Alitalia la continuità operativa e gestionale. Ora però vediamo quali sono le misure più importanti del Sostegni Bis.

Contributi a fondo perduto e bonus affitti

Tra le misure più importanti ,del decreto sostegni bis, ci sono senza dubbio i contributi a fondo perduto che possono disporre di uno stanziamento di 15,4 miliardi. Come previsto dai precedenti decreti, i destinatari sono soprattutto partite Iva e imprese. Contributi che si dividono nelle seguenti categorie principali:

– Contributi a fondo perduto automatici, ossia senza bisogno di riproporre domanda specifica, uguali a quelli previsti dal primo decreto sostegni.

– Contributi a fondo perduto alternativi, per i soggetti che svolgono attività d’impresa, arte o professione o che producono reddito agrario, titolari di partita IVA residenti o stabiliti nel territorio dello Stato. Contributo che viene riconosciuto “a condizione che l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo dal 1° aprile 2020 al 31 marzo 2021 sia inferiore almeno del 30 per cento rispetto all’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo dal 1° aprile 2019 al 31 marzo 2020.”

– Ristori a conguaglio per i titolari di reddito agrario e peri soggetti con ricavi o compensi non superiori a 10 milioni di euro nel secondo periodo d’imposta antecedente a quello di entrata in vigore del presente decreto a condizione che vi sia un peggioramento del risultato economico d’esercizio relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2020, rispetto a quello relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019, in misura pari o superiore alla percentuale definita con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

Fondo per le attività economiche chiuse

Istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico il “Fondo per il sostegno alle attivita’ economiche chiuse”, con una dotazione di 100 milioni di euro per l’anno 2021.

Bonus affitti e tagli ai costi fissi

Per sostenere le imprese si interviene anche tagliando i costi fissi attraverso le seguenti iniziative:

– credito d’imposta per canoni di locazione e affitto d’immobili a uso non abitativo per soggetti che esercitano attivita’ d’impresa, arte o professione,

con ricavi o compensi non superiori a 15 milioni di euro nel secondo periodo d’imposta antecedente a quello di entrata in vigore del

presente decreto, agli enti non commerciali (compresi gli enti del terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti) in relazione ai canoni

versati con riferimento a ciascuno dei mesi da gennaio 2021 a maggio 2021;

– per le imprese turistico-ricettive, le agenzie di viaggio e i tour operator, il credito d’imposta spetta fino 31 luglio 2021;

– esenzione Tari per gli esercizi commerciali e le attività economiche particolarmente colpite dalla pandemia;

– contributo per il pagamento delle bollette elettriche purché diverse dagli usi domestici fino a luglio 2021;

– rinvio a gennaio 2022 dell’entrata in vigore della plastic tax.

Aiuti anche per il settore dello sport, della moda, del tessile e di altri settori particolarmente colpiti dalla pandemia.

Credito e liquidità per le imprese

Alle imprese è poi dedicato il titolo IV del decreto contenente le misure per l’accesso al credito e alla liquidità come la garanzia Fondo PMI grandi portafogli di finanziamenti a medio-lungo termine per progetti di ricerca e sviluppo e programmi d’investimento, le misure per il sostegno alla liquidità delle imprese, la tassazione capital gain start up innovative, lo sviluppo di canali alternativi di finanziamento delle imprese, la proroga della moratoria e altro ancora.

Nuovo rinvio per le cartelle fino a giugno

Un’altra proroga per l’attività di riscossione dal 30 aprile 2021 fino al 30 di giugno. Non verranno quindi notificate per il momento ben 40 milioni di cartelle esattoriali. Stesso termine di rinvio per la sospensione dei pignoramenti che riguardano le quote di stipendi e pensioni.

Misure per il lavoro

Al lavoro sono dedicate importanti misure come il contratto di rioccupazione, il contratto di espansione e i contratti di solidarietà. Una delle misure più interessanti però è rappresentata senza dubbio dalla istituzione delle “Scuole dei mestieri” finalizzate a formare le figure specializzate più richieste dai vari centri industriali del territorio. Potenziate infine le attività di prevenzione e per la vigilanza e la sicurezza sui luoghi di lavoro.

Blocco dei licenziamenti

I datori di lavoro privati che dal 1 luglio 2021 sospenderanno o ridurranno l’attività lavorativa e presenteranno domanda d’integrazione salariale non potranno avviare le procedure di mobilità per tutta la durata del trattamento d’integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021. Sospese anche per lo stesso periodo le procedure pendenti, avviate successivamente al 23 febbraio 2020. Nel testo non compare la norma che prevedeva la proroga del blocco fino al 28 agosto.

Esenzione ticket per malati Covid

Fondi per garantire l’esenzione dal ticket per chi è stato colpito dal Covid e soffre di postumi che richiedono esami e cure ulteriori.

Iniziative internazionali per il finanziamento dei beni pubblici globali in materia di salute e clima, incentivi al processo di riorganizzazione della rete dei laboratori del Servizio sanitario nazionale, misure finalizzate allo sviluppo della sanità militare e della capacità produttiva nel settore vaccinale e antidotico, intensificazione dell’attività della ricerca e dello sviluppo dei vaccini, crediti d’imposta per chi sanifica e acquista dispositivi di protezione,

potenziamento dei servizi territoriali e ospedalieri di Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza e reclutamento straordinario psicologi a sostegno dei più giovani.

Assunzioni nella scuola

Programmato un piano di assunzioni di 70.000 docenti, di cui 49.000 provenienti dal concorso straordinario e dalle graduatorie già esistenti, gli altri invece sono precari con 3 anni di servizio alle spalle che otterranno un contratto di un anno e la promessa di essere assunti nel 2022/2023 a condizione che superino un test finale da sostenere dopo un periodo di prova.

Previsto anche un concorso rapido per insegnanti nelle materie Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics) che prevede un test a risposta multipla, un’orale e la valutazione dei titoli in possesso. Il tutto entro il 31 agosto, per consentire l’assegnazione delle cattedre a partire da settembre per l’inizio del nuovo anno scolastico.

Agli studenti invece sono dedicate le misure per favorire le opportunità e per il contrasto alla povertà educativa, alla prevenzione e contrasto al disagio giovanile.

Turismo e città d’arte

Diversi i miliardi che il decreto sostegni bis vuole destinare al turismo, alle categorie dei tour operator, alle guide turistiche, alle strutture ricettive e alle agenzie viaggi. Altrettanto importanti anche gli aiuti per le città d’arte, che rappresentano dei veri e propri poli turistici, le indennità una tantum per il lavoratori stagionali e per quelli dello spettacolo e gli sgravi relativi al pagamento dei contributi per gli operatori delle terme, del turismo e del commercio.

Incrementato per l’anno 2021 il fondo per i Comuni a vocazione montana, assegnato alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano per essere erogato in favore delle imprese turistiche.

Proroga Rem e bonus prima casa giovani

Rinnovato per altri 4 mesi il reddito di emergenza in relazione alle mensilità che vanno da giugno a settembre 2021. Altri fondi saranno invece destinati ai Comuni affinché possano continuare a erogare buoni spesa alle famiglie più bisognose e ad aiutarle nel pagamento dell’affitto e delle bollette. Altri fondi anche per i centri estivi e ad altre iniziative per i ragazzi con partenza dal mese di giugno.

Il Decreto sostegni bis pensa anche ai giovani che vogliono mettere su casa, prevedendo importanti agevolazioni fiscali per chi ha un ISEE fino a 40.000 euro e ampliando la copertura del Fondo Garanzia Prima casa fino all’80%.

fonte: http://www.studiocataldi.it/

Bonus prima casa per gli under 36

Il Decreto Sostegni bis, in vigore dal 26 maggio 2021, prevede un bonus prima casa per gli under 36. Domande dal 24 giugno.

Bonus prima casaDecreto Sostegni bis n. 73/2021, pubblicato in Gazzetta il 25 maggio e in vigore dal giorno successivo, contiene, tra le varie novità, il bonus prima casa per gli under 36.

L’art. 64 del decreto, al comma 2, sostituisce il comma 48, lettera c) dell’art. 1 della legge n. 147/2013, che prevedeva il beneficio  per coloro che non avevano ancora compiuto i 35 anni di età a quelli “che non hanno compiuto trentasei anni di età.”

Il comma 1 invece dispone la proroga fino al 31 dicembre 2021 delle misure contemplate dall’art. 54 comma 1 del Cura Italia n. 18/2020 convertito dalla legge n. 27/2020.

Garanzia all’80% della quota capitale

Per le domande che verranno presentate a partire dal 30° giorno successivo all’entrata in vigore della disposizione contenuta nel decreto sostegni bis (ossia a partire dal 24 giugno prossimo e fino al 30 giugno 2022), per quanto riguarda le categorie che hanno la priorità per accedere al credito garantito dal Fondo Garanzia prima casa, in possesso di un indicatore ISEE che non superi i 40.000 euro, la misura della garanzia è elevata all’80% della quota capitale.

Per questo il Fondo di garanzia per la prima casa per il 2021 è incrementato di una dotazione di 290 milioni di euro e di 250 milioni per il 2022.

Esenzioni e credito d’imposta

La norma dispone inoltre che gli atti che trasferiscono a titolo oneroso la proprietà di “prime case” di abitazione, fatta eccezione per quelle appartenenti alle categorie catastali A1, A8 e A9 e gli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse sono esonerati dai pagamenti dell’imposta di registro e dalle imposte ipotecaria e catastale se stipulati a favore di soggetti che non hanno ancora compiuto 36 di età nell’anno del rogito e che hanno un ISEE che non supera i 40.000 euro annui.

Se poi i suddetti atti sono soggetti a IVA, gli acquirenti che non hanno ancora compiuto 36 anni di età beneficiano di un credito d’imposta dello stesso valore dell’imposta sul valore aggiunto corrisposta per l’acquisto. Credito d’imposta che può essere:

  • “portato in diminuzione dalle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni dovute sugli atti e sulle denunce presentati dopo la data di acquisizione del credito”;
  • “utilizzato in diminuzione delle imposte sui redditi delle persone fisiche dovute in base alla dichiarazione da presentare successivamente alla data dell’acquisto;
  • “portato in compensazione ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.”

Il suddetto bonus si applica agli atti stipulati nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore della presente disposizione e il 30 giugno 2022.

fonte: http://www.studiocataldi.it/

Bollette a 28 giorni: entro il 31 dicembre il rimborso

Bollette a 28 giorni: entro il 31 dicembre il rimborso.

L’Agcom ha individuato il termine entro cui gli operatori telefonici (Fastweb, Tim, Vodafone, Wind Tre) dovranno restituire in bolletta i giorni erosi a seguito della fatturazione a 28 giorni.

Entro il 31 dicembre Tim, Vodafone, Wind Tre e Fastweb dovranno restituire in bolletta il “maltolto” a causa della fatturazione a 28 giorni. Lo ha deciso l’Agcom, individuando il termine entro il quale gli operatori telefonici dovranno rimborsare agli utenti i giorni illegittimamente erosi per la telefonia, a seguito delle bollette a 28 giorni emesse in violazione della delibera dell’Autorità n. 121/17/CONS.

L’Autorità, con 4 delibere precedenti, aveva diffidato gli operatori a far venir meno gli effetti dell’illegittima anticipazione della decorrenza delle fatture emesse successivamente alla data del 23 giugno 2017.

Nel rispetto delle indicazioni del Tar del Lazio, dunque, con l’attuale delibera n. 269/18/CONS, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha individuato il nuovo termine del 31 dicembre entro il quale le società dovranno ottemperare a quanto richiesto nei provvedimenti di diffida.

Il provvedimento adottato intende salvaguardare in tempi rapidi i diritti di tutti gli utenti coinvolti dagli aumenti tariffari imposti dagli operatori.

Nello specifico, entro tale data, le società di telefonia dovranno restituire alla clientela, direttamente in bolletta, o eventualmente spalmati su più fatture, “i giorni erosi per effetto della violazione dell’obbligo di cadenza di rinnovo delle offerte e della periodicità della fatturazione su base mensile”.

Riguardo al calcolo dei giorni da restituire, l’Agcom sottolinea che “ciascun operatore dovrà riconoscere in fattura ai propri utenti il periodo compreso tra il 23 giugno 2017 e la data in cui è stata ripristinata la fatturazione su base mensile”.

Per chi nel frattempo ha cambiato operatore, invece, precisa l’Autorità, “adeguate modalità di ristoro saranno definite all’esito dei contenziosi ancora pendenti dinanzi al TAR Lazio, la cui discussione di merito è prevista nel prossimo mese di novembre”.

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Bolletta luce esigua? Perdi le agevolazioni prima casa

Per la Cassazione la bolletta della luce esigua è elemento presuntivo sufficiente per perdere l’agevolazione ICI per la prima casa.

I bassi consumi di energia elettrica risultanti dalle bollette riferibile a un triennio, costituiscono un elemento presuntivo sufficiente da cui desumere che, chi beneficia delle agevolazioni ICI in realtà non ne ha diritto visto che è chiaro che l’immobile non costituisce abitazione principale. Le risultanze anagrafiche infatti possono essere superate da una prova contraria.

E’ quanto stabilito dalla Cassazione con la recente ordinanza n. 14793/2018.

I ricorrenti impugnano davanti alla Corte di Cassazione la sentenza della Commissione Tributaria della Regione Toscana, sezione di Livorno che, in relazione ad alcuni avvisi d’accertamento ICI per il 2008-2010, non riconosce l’agevolazione prevista per gli immobili destinati ad abitazione principale. I ricorrenti ritengono che i giudici d’appello hanno errato nel ritenere sufficiente il solo elemento presuntivo della scarsità dei consumi elettrici in bolletta, per non riconoscere il diritto all’agevolazione prevista per l’abitazione principale, ai fini ICI, nonostante la residenza anagrafica degli stessi presso l’immobile.

La Cassazione ritiene infondato il ricorso in quanto “In tema di ICI, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione prevista dall’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992 per l’immobile adibito ad abitazione principale, le risultanze anagrafiche rivestono un valore presuntivo circa il luogo di residenza effettiva e possono essere superate da prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento e suscettibile di apprezzamento riservato alla valutazione del giudice di merito.” (Cass. ord. n. 12299/17, n. 13062/17)”.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria della Regione Toscana ha ritenuto che i bassi consumi della luce costituiscono un elemento presuntivo sufficiente (che supera le risultanze anagrafiche) da cui desumere che i ricorrenti non hanno la loro abitazione principale nell’immobile che beneficia dell’agevolazione ICI . Attese prese di posizione simili dalle Commissioni Tributarie delle diverse regioni italiane.

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Conto corrente condominiale? Si può pignorare

Conto corrente condominiale? Si può pignorare.

Secondo la giurisprudenza recente il conto corrente condominiale è pignorabile senza che questo comporti la lesione del principio della preventiva escussione.

Dopo la riforma del 2012 una delle questioni su cui la giurisprudenza si è interrogata di più è quella relativa alla pignorabilità del conto corrente condominiale. Alcune sentenze piuttosto recenti considerano il condominio come un’entità distinta e in quanto tale titolare di un conto corrente separato da quello dei singoli condomini. Per questo non si rischia di ledere l’art. 63 disp att. c.c., che vieta al creditore di escutere i condomini in regola se non dopo aver agito nei confronti di quelli morosi. Questa regola infatti vale quando il creditore agisce in via parziaria, non sul Condominio nel suo complesso.

Conto corrente e debiti condominiali: cosa dice la legge?
Il comma 7 dell’art. 1129 c.c. dispone che: “L’amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio.” Il condominio quindi ha un suo conto corrente per far fronte alle spese comuni. Esiste però un prinicpio in materia di debiti condominiali per tutelare i condomini in regola con i pagamenti rispetto a quelli morosi. Si tratta dell’art. 63 disp att. c.c. secondo il quale “I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini.”

Da una parte quindi una norma da cui si desume l’esistenza di un conto corrente intestato al Condominio nel suo complesso e dall’altra una che protegge i condomini virtuosi, per i quali la tutela approntata dall’art. 63 disp. att. c.c. rischia di essere vanificata nel momento in cui le somme confluiscono nel conto corrente comune. Vediamo come sta affrontando il problema la giurisprudenza.

E’ legittimo pignorare il conto del condominio?
La prima pronuncia ha a che fare con una causa che vede contrapposti un Condominio e una società di servizio idrico integrato, che agisce esecutivamente per il recupero del quantum dovuto. Il Condominio si oppone perché, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., i creditori non possono agire nei confronti dei condomini che risultano in regola con i pagamenti, se non dopo aver escusso quelli morosi.

La sentenza del Tribunale di Cagliari del 27 febbraio 2018 che chiude la presente vertenza ritiene che l’azione esecutiva è legittima perché sia l’utenza idrica che il conto corrente sono intestati al Condominio. Agendo in questi termini non si vanno a ledere gli interessi dei condomini in regola, come sancito dall’art 63 disp. att. c.c. Secondo il tribunale sardo infatti il Condominio è un’entità distinta dai condomini che ne fanno parte e il conto a questo intestato è distinto da quello dei singoli condomini, poiché dal momento che in esso versano denaro, ne perdono la disponibilità. Qualche dubbio resta, anche se la sentenza in esame non è un caso isolato.

Sono diverse infatti le pronunce pro pignorabilità del conto corrente condominiale:
– secondo una pronuncia del 2014 del Tribunale di Pescara l’art. 63 disp att. c.c. prevede l’obbligo di preventiva escussione del condomino moroso, ma non del Condominio nel suo complesso. Al creditore pertanto non è vietato aggredire immediatamente il conto condominiale;
– per una sentenza del Tribunale di Bologna del 2014 il conto corrente condominiale è aggredibile perché il vincolo di destinazione imposto alle somme in esso versate recide ogni legame con quelle proprie dei singoli condomini;
– per una decisione del Tribunale di Milano del 2014 infine il Condominio ha un patrimonio distinto da quello dei condomini, come emerge dalla formula che vieta la “confusione di cassa” tra conto condominiale e conti dei singoli condomini.

Il conto corrente è patrimonio del condominio?
Altra importante conferma alle tesi giurisprudenziali menzionate viene dal Tribunale di Milano che, nell’articolata sentenza del novembre 2017 premette che, per effetto delle modifiche normative intervenute in materia condominiale può ritenersi esistente una sorta di “patrimonio del condominio” costituito dalle somme presenti sul conto corrente intestato allo stesso, anche se ancora privo di vincolo di destinazione degli importi. Non si può negare infatti che il conto corrente condominiale rappresenti una prima garanzia (art. 2744 c.c.) per i creditori del condominio, che potranno decidere se agire:
– per intero nei confronti del condominio, pignorando il conto condominiale;
– o in via parziaria verso singoli condomini, nel rispetto dell’art 63 disp. att. c.c. considerata l’esistenza contestuale di obbligazioni distinte: quelle relative all’intero debito in capo all’amministratore (nella qualità di mandatario dei singoli condomini) e quelle inerenti le singole quote dei condomini obbligati in virtù e in misura delle diverse quote di partecipazione.

Ne consegue che “là dove il creditore agisca per il recupero dell’intero credito in forza del contratto che lo lega al condominio (e non nei confronti dei singoli condomini tenuti alla contribuzione) non può trovare applicazione il disposto dell’art. 63 disp. att. c.c. perché lo stesso, pignorando il conto corrente condominiale, non “agisce nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti”, ma aggredisce il “patrimonio del condominio”, patrimonio che al condominio obbligato fa direttamente capo”.

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Fisco: addio rateizzazione se omesso anche un solo pagamento

Fisco: addio rateizzazione se omesso anche un solo pagamento.

La Cassazione conferma la decadenza dal beneficio della rateizzazione ove il contribuente ometta di versare al Fisco anche una sola rata successiva alla prima.

Decade dal beneficio della rateizzazione il contribuente che omette di versare al Fisco anche una sola delle rate successive alla prima relative alle somme dovute a seguito di adesione al processo verbale di constatazione. L’inadempimento, dunque, legittima l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni in misura piena.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione tributaria, nella’ordinanza n. 13133/2018 sul ricorso di un contribuente che aveva optato per l’adempimento dilazionato delle imposte che era tenuto a versare al Fisco (in materia di IRPEF, Addizionale Regionale e Comunale).

Tuttavia, questi a causa di problemi finanziari non provvedeva al pagamento delle rate scadute e, conseguentemente, l’Agenzia delle entrate procedeva a iscrivere a ruolo, ex art. 14 d.P.R. n. 602/1973, le intere somme dovute dedotti i versamenti già eseguiti, con sanzioni e interessi, notificando la relativa cartella di pagamento.

Il contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla CTP affermando che l’iscrizione a ruolo poteva essere effettuata solo limitatamente alle rate scadute rimaste insolute e non all’intero debito. Ricorso respinto dalla Commissione che, rilevata la decadenza del ricorrente dal beneficio della rateizzazione, riteneva legittima l’iscrizione a ruolo dell’intere somme dovute dedotti i versamenti già eseguiti. Decisione confermata anche dalla CTR chiamata a pronunciarsi in seconde cure.

In Cassazione, gli Ermellini chiariscono come, con riferimento all’anno di imposta della vicenda di cui è causa (2006), vada applicato l’art. 8, comma 3-bis ,del d.lgs. n. 218/1997, come modificato dalla legge n. 311/2004, che ha apportato alcune significative modifiche alla disciplina che regola il pagamento rateale del debito erariale.

Il legislatore, infatti, ha espressamente disciplinato l’ipotesi di inadempimento di alcuni dei pagamenti previsti dal piano di rateazione: si è stabilito, tra l’altro, che il mancato pagamento anche di una sola delle rate successive alla prima determini la decadenza del contribuente dal beneficio della rateizzazione dell’importo dovuto in forza di un atto di accertamento o PVC, a cui si è prestata acquiescenza o adesione, come nella specie avvenuto.

Ne deriva che nessuna censura può essere espressa nei confronti della sentenza impugnata avendo la CTR rilevato, a causa dell’omesso versamento delle rate scadute, la decadenza dal beneficio della reteizzazione e, quindi, la legittima iscrizione a ruolo delle intere somme dovute, dedotti i versamenti già eseguiti.

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Cassazione: niente Irap per l’avvocato con una segretaria

Cassazione: niente Irap per l’avvocato con una segretaria
Per le Sezioni Unite l’autonoma organizzazione sussiste in presenza di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile. E per chi ha versato scattano i rimborsi

avvocato segretariaNon paga l’IRAP il professionista che si avvale di un solo dipendente con mansioni di segreteria e di beni strumentali minimi per l’esercizio della propria attività.
Lo hanno affermato le Sezioni Unite di Cassazione nella sentenza n. 9451/2016 che torna sull’orientamento già tracciato in precedenza nella sentenza n. 3676/2007.

La pronuncia origina dal ricorso dell’Agenzia delle entrate nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che, rigettandone l’appello, aveva riconosciuto a un avvocato il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni dal 2000 al 2004.

Il giudice d’appello, rilevato che nello svolgimento dell’attività professionale il contribuente si avvaleva “solo di un lavoratore dipendente con mansioni di segretario e di beni strumentali minimi”, ha ritenuto che “la presenza minimale di strumenti e di collaborazione non costituiva autonoma organizzazione” ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 446.
Secondo l’Agenzia, invece, il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini dell’IRAP ricorrerebbe allorché il contribuente sia, sotto qualsiasi forma il responsabile dell’organizzazione e si avvalga del lavoro anche di un solo dipendente.

Osserva il Collegio che la sentenza n. 3676 del 2007, menzionata come significativa dell’indirizzo più risalente, e decisamente maggioritario, rappresenta, con alcune pronunce coeve, il punto di approdo di una prima fase dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte sull’IRAP, incentrata sul presupposto dell’imposta, regolato dagli artt. 2 e l del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, istitutivo del tributo, mentre la seconda fase è stata piuttosto caratterizzata dalla definizione dei contorni della platea dei soggetti passivi.

Le Sezioni unite, con riguardo al requisito dell’autonoma organizzazione nel presupposto dell’IRAP, condividono i principi e, più complessivamente, l’impianto ricostruttivo fornito allora con la sentenza capofila e tuttavia ritengono che essi meritino, più che una rivalutazione, delle precisazioni concernenti il fattore lavoro.

Per la Cassazione, fra “gli elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato, potenziandone le possibilità necessarie”, accanto ai beni strumentali vi sono i mezzi “personali” di cui egli può avvalersi per lo svolgimento dell’attività; affinché questi davvero rechino ad essa un apporto significativo, occorre che le mansioni svolte dal collaboratore non occasionale concorrano o si combinino con quel che è il proprium della specifica professionalità espressa nella “attività diretta alla scambio di beni a di servizi”, di cui fa discorso l’art. 2 del d.lgs. n. 116 del 1997, e ciò vale tanto per il professionista che per l’esercente l’arte, come, più in generale, per il lavoratore autonomo ovvero per le figure “di confine” individuate nel corso degli anni dalla giurisprudenza.

Infatti, è in tali casi che può parlarsi, per usare l’espressione del giudice delle leggi, di “valore aggiunto” o, per dirla con le pronunce della sezione tributaria del 2007, di “quel qualcosa in più”.
Diversa incidenza assume perciò l’avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui quando questo si concreti nell’espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive, che rechino all’attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o, appunto, generico.

Lo stesso limite segnato in relazione ai beni strumentali, “eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione” vale, armonicamente, anche per il fattore lavoro, la cui soglia minimale si arresta all’impiego di un collaboratore.

Nel rigettare il ricorso dell’Agenzia, la Corte enuncia il seguente principio di diritto: “con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione, previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente; a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

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Equitalia: impugnabile l’estratto di ruolo

Equitalia: impugnabile l’estratto di ruolo
Il documento non è di per sé impugnabile, ma consente al contribuente di tutelarsi anticipatamente e regolarizzare la propria posizione

equitalia-prescrizioneCome confermato dalle Sezioni Unite di Cassazione, sentenza n. 19704/2015, può essere impugnata la cartella, anche se invalidamente notificata, della quale il contribuente abbia avuto conoscenza tramite l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario.

L’estratto di ruolo, in sé, resta un documento dal valore informativo che non contiene alcuna pretesa impositiva, sia diretta che indiretta, ma non preclude l’impugnazione della cartella.
Infatti il ricorrente, lungi dall’impugnare il documento estratto di ruolo, ha interesse ad impugnare il contenuto del documento stesso ossia gli atti che l’estratto indica, assumendo che questo sia stato notificato invalidamente. In sostanza, ha interesse alla tutela anticipata dell’impugnazione della cartella di pagamento e quindi senza la necessità di dover attendere la notificazione di un atto successivo in cui si snoda il procedimento di imposizione e riscossione.

Questa la tematica affrontata anche dal Tribunale di Palermo, quinta sezione civile, nella sentenza n. 1027/2016 con cui il giudice ha rigettato il ricorso promosso da una società facente parte di un ufficio di riscossione.
La ricorrente chiedeva, tra l’altro, di accertare l’avvenuta estinzione per prescrizione di crediti contenuti in cartelle di pagamento riferite al convenuto di cui il giudice di pace aveva dichiarato la nullità. Riconoscendo la prescrizione, le cartelle avrebbero ritrovato una rinnovata validità coinvolgendo anche le rispettive notifiche eseguite a loro volta dichiarate non valide dal giudice a quo.

Il ricorrente aveva impugnato le cartelle del caso di specie dopo averne avuto conoscenza tramite l’estratto di ruolo richiesto all’agente riscossone al fine di regolarizzare la sua posizione, pertanto la sua impugnazione deve essere ritenuta legittima secondo i parametri stabiliti dalle Sezioni Uniti.
Il ricorso va pertanto rigettato e il Tribunale chiarisce, condividendo le impressioni del Giudice di Pace, che le notifiche poste in essere sono nulle poichè, ad esempio, sono state effettuate tramite consegna a familiari non residenti con l’interessato.

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Equitalia si paga anche in carcere

Equitalia si paga anche in carcere
La possibilità di soddisfare i propri crediti mediante il pignoramento presso terzi, secondo i recenti episodi di cronaca, non si arresta dinanzi alle sbarre delle carceri

img1rewSi può dire che Equitalia il suo compito di riscossione lo prende davvero sul serio: nella ricerca dei cittadini morosi, infatti, non risparmia di scandagliare anche le carceri!

E le cartelle esattoriali stanno iniziando a varcare le soglie dei penitenziari a porte spalancate.

Forte della possibilità di soddisfare i propri crediti mediante il pignoramento presso terzi, Equitalia si sta ricordando che terzi sono anche le case circondariali, specie se i detenuti svolgono al loro interno dei lavoretti retribuiti a scopo di riabilitazione.

Rivolgersi all’istituto/datore di lavoro è cosa agevole ed evita una serie di trafile che, per la predetta tipologia di debitori, sarebbero ancora più complesse di quanto già normalmente non siano.

Così l’ente della riscossione ha deciso di approfittare della possibilità con sempre maggiore frequenza e di apporre un vincolo di indisponibilità sui beni del debitore quando questi sono nelle mani di terzi. Anche se i debitori sono dei detenuti.

A tal proposito, è di poco meno di un mese fa la storia di un detenuto napoletano, in cella ad Ancona: per un suo debito nei confronti dello Stato, il carcere presso il quale egli è rinchiuso si è visto notificare un pignoramento presso terzi.

Il carcere, insomma, isola dal mondo esterno ma non dai debiti!

Molti si chiederanno quale è stato l’oggetto del pignoramento. Ecco qui: la diaria di circa venti euro al giorno che il carcere corrisponde al detenuto come contropartita per i lavori di giardinaggio che egli svolge a scopo riabilitativo.

Questa storia, peraltro, non è isolata: i detenuti che, alle pene del carcere, vedono sommate quelle derivanti dalla riscossione di Equitalia non sono pochi. Le conseguenze di un bollo, una multa, una qualsiasi tassa non pagata in passato non si arrestano neanche dinanzi alle sbarre.

Sui giornali rimbalza l’allarme lanciato dal legale dell’uomo, l’Avvocato Pisani: davvero la riscossione è così importante e legittima la messa all’angolo del buon senso? La stessa sorte dei carcerati potrebbe toccare anche a molti altri cittadini in una condizione di debolezza e difficoltà, come i pensionati. Che sia il caso di alleggerire il metro di valutazione di simili situazioni?

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