Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione dettano le regole sul termine di decadenza per l’accertamento dei componenti reddituali (sentenza n. 8500/2021).
La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 26 gennaio – 25 marzo 2021, n. 8500, Sezioni Unite,ha preso posizione, perseguendo la propria funzione nomofilattica, in merito ad una tematica, apparentemente non particolarmente controversa ma, relativa ad una questione di massima di particolare importanza per la quale ha pronunciato il seguente principio di diritto:
“nel caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale per ragioni diverse dall’errato computo del singolo rateo dedotto e concernenti invece il fatto generatore ed il presupposto costitutivo di esso, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento va riguardata, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato, non già in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio”.
Il tema del termine di accertamento dei costi pluriennali è caratterizzato da due argomenti assolutamente pregnanti che lo attraversano e lo connotano:
- il principio di autonomia del periodo di imposta (art. 7, c. 1, T.U.I.R.);
- l’efficacia espansiva del giudicato esterno su fatti aventi efficacia permanente o pluriennale.
Orbene, il caso in esame aveva ad oggetto tematiche estremamente complesse e settoriali che riguardavano la svalutazione su crediti degli intermediari finanziari (art. 106, c. 3, T.U.I.R., modificato dopo i fatti di causa) ma, tuttavia, la questione devoluta alle Sezioni Unite rivestiva e riveste “una casistica ampia e di notevole riscontro pratico, caratterizzata dalla rilevanza pluriennale di determinati componenti reddituali”.
Donde, l’opportunità, in seguito a ordinanza di rimessione (Cass. Civ. Sez. V, Ord., 5 giugno 2020, n. 10701) della pronuncia a Sezioni Unite.
La controversia oggetto del giudizio e l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite
L’Amministrazione finanziaria ha notificato, nei confronti di un intermediario finanziario, ritenuto stabile organizzazione in Italia di società residente all’estero (segnatamente in Olanda) un avviso di accertamento ai fini I.R.E.S. ed I.R.A.P. per l’anno 2004, a mezzo del quale contestava la deduzione della quota di un nono dell’ammontare dell’eccedenza della svalutazione del credito erogato di altre società di capitali, maturata e iscritta per la prima volta in bilancio nell’esercizio 2003.
La ricorrente ha agito in giudizio impugnando l’avviso di accertamento, e deducendo, tra le altre doglianze e per quanto qui di interesse, l’intervenuta decadenza dell’Amministrazione finanziaria in quanto essa non aveva proceduto a rettificare la svalutazione del credito nel primo periodo d’imposta in cui tale componente passiva è stata esposta: pertanto, ad avviso della contribuente, non era possibile considerarsi legittima la rettifica dei ratei relativi annualità successive basati sul medesimo presupposto costitutivo.
La Commissione Tributaria Provinciale, così come quella Regionale investita del gravame, hanno accolto la tesi difensiva della contribuente: in entrambi i gradi di giudizio di merito, infatti, i giudici hanno ritenuto che la pretesa impositiva fosse illegittima proprio a causa del mancato disconoscimento, nei termini, dell’iniziale esposizione della svalutazione pluriennale nel bilancio 2003 della stabile organizzazione.
Per entrare maggiormente nel dettaglio, ad avviso della Commissione Tributaria Regionale (che si è occupata del giudizio di appello, C.T.R. Lombardia, 74/5/13) l’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto soltanto verificare che la quota dedotta non eccedesse la percentuale di deducibilità consentita secondo la ripartizione pluriennale costante (nella specie un nono).
La sentenza di appello è stata impugnata dall’Amministrazione finanziaria la quale ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione affermando che l’Ufficio non è tenuto a disconoscere subito il costo spalmato su più esercizi, in quanto tale attività non sarebbe un “onere” in capo al Fisco che, se non tempestivamente adempiuto, preclude il recupero d’imposta per le annualità successive. Peraltro, ha osservato l’Agenzia delle Entrate, ciascuna annualità è caratterizzata, ex art. 7 T.U.I.R., da autonoma rilevanza.
La controversia, inizialmente assegnata – ratione materiae – alla sezione tributaria della Cassazione, è stata rimessa, considerata la sua rilevanza pratica, alle Sezioni Unite.
Ed invero, la questione oggetto del giudizio non riguardava solamente la svalutazione di crediti ma ogni fattispecie reddituale ad efficacia pluriennale e, su tale questione, non sempre sono state adottate soluzioni concordanti. Pertanto, come anticipato, con la citata ordinanza n. 10701/2020, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite.
I Giudici della V Sezione hanno rilevato come la tesi della effettiva decadenza dell’amministrazione finanziaria in ipotesi di mancata tempestiva rettifica della dichiarazione di prima emersione del componente pluriennale, sostenuta negli arresti giurisprudenziali precedenti (Cass. Civ. Sez. V, Sent., 24 aprile 2018, n. 9993 e Cass. Civ. Sez. V, Ord., 31 gennaio 2019, n. 2899), non appariva particolarmente persuasiva.
Più precisamente, i Giudici rimettenti hanno evidenziato come, in precedenza, la giurisprudenza si fosse orientata ad affrontare la tematica secondo il seguente principio: “in tema di accertamento, nell’ipotesi di beni ammortizzabili, il termine di decadenza per l’esercizio del potere impositivo decorre dall’annualità nella quale è stata presentata la dichiarazione in cui i costi sono stati concretamente sostenuti e la quota di ammortamento è stata iscritta in bilancio, rispetto alla quale sorgono i presupposti del diritto alla deduzione, a ciò non ostando il principio di autonomia dei periodi di imposta, che non opera in relazione a situazioni geneticamente unitarie ma destinate a ripercuotersi su annualità successive, e non potendo il contribuente, come peraltro affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 280 del 2005, essere esposto all’azione del Fisco per un periodo eccessivamente dilatato” (in questi termini, la citata Cass. Civ. n. 9993/2018).
Questa tesi, secondo quanto risultante dall’ordinanza di rimessione n. 10701/2020, è apparsa fallace e, pertanto, è stato richiesto l’intervento delle Sezioni Unite, le quali sono state investite della questione inerente alla decadenza dal potere di accertamento nei casi di contestazione di un componente reddituale pluriennale.
La citata ordinanza di rimessione (ord. 10701/2020), infatti, ha posto il seguente quesito di diritto: “se la decadenza dalla potestà impositiva dell’amministrazione finanziaria, che intenda contestare una svalutazione dei crediti risultanti in bilancio e, più in generale, un componente di reddito a efficacia pluriennale per ragioni che non dipendono dal mero errato computo del singolo rateo di esso, si determini con il decorso del termine per la rettifica della dichiarazione dove è indicato il singolo rateo in cui il componente reddituale pluriennale è suddiviso ovvero con il decorso del termine per la rettifica della dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui il componente reddituale pluriennale è maturato ed è stato iscritto per la prima volta in bilancio”.
La pronuncia delle Sezioni Unite
La sentenza in commento analizza le varie interpretazioni a tange molteplici istituti per giungere all’affermazione del principio di diritto sopra riportato.
Ad ogni modo, come già anticipato, il cuore della vicenda concerne le questioni interpretative che gravitano attorno alla decadenza dal potere di accertamento ex art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 in relazione alle componenti reddituali che esplicano efficacia pluriennale:
- il principio dell’autonomia di ciascuna annualità solare di imposta (art. 7, c. 1, T.U.I.R.)
- la regola processuale dell’efficacia espansiva del giudicato esterno su fatti aventi efficacia permanente o pluriennale.
Tali concetti assumono valenza fondamentale nell’impostazione interpretativa offerta dalle Sezioni Unite.
Il Consesso ha inteso offrire una soluzione unitaria al problema giuridico sollevato nell’ordinanza di rimessione.
Ad avviso delle Sezioni Unite, in ragione della periodicità (annuale) dell’imposta sul reddito (e della relativa dichiarazione), anche l’accertamento (da notificare, ex art. 43, d.P.R. n. 600/1973, “a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione”) godrebbe di una autonoma decorrenza.
Secondo la Suprema Corte, dunque, il termine di accertamento “si “rinnova” dunque di anno in anno, nel senso che il suo oggetto è il controllo del reddito di ciascuna singola annualità presa in esame, e siccome il reddito verificato costituisce, come detto, un dato complessivo unitario costituente l’esito dell’interdipendenza di una molteplicità di componenti rilevanti, la sua verifica neppure si presta ad essere limitata a taluni componenti soltanto, con la salvezza di altri (quelli pluriennali) che, in ipotesi, non siano stati sottoposti a verifica negli anni precedenti; altrimenti, si verrebbe ad introdurre un limite di accertabilità, non solo temporale ma anche contenutistico, di cui non vi è riscontro nella legge (non potendosi esso ravvisare, in particolare, in quanto disposto, sull’oggetto dell’accertamento, negli artt. 39 e 40 D.P.R. cit.). Da ciò consegue che l’accertamento deve essere possibile, su ogni annualità, anche con riguardo al fatto costitutivo dell’elemento pluriennale dedotto e non soltanto alla correttezza della singola quota annuale di deduzione”.
In altre parole, secondo questa importante pronuncia, l’Amministrazione finanziaria non ha alcun “obbligo”, presieduto da decadenza o preclusione, di contestare il componente pluriennale fin dalla sua prima dichiarazione, trattandosi di una mera “facoltà” in capo all’Ente Pubblico che così può procedere al fine rettificare comportamenti e scelte del contribuente ritenute non corrette.
La seconda questione affrontata dal Collegio concerne la preclusione del giudicato ultrannuale.
Rispetto a tale tematica, si legge nella Sentenza, si tratta di questione che concerne il merito dell’imposizione, ovvero la sussistenza o insussistenza sostanziale dei suoi componenti fattuali o di qualificazione giuridica. I giudici compiono un articolato percorso motivazionale analizzando i vari orientamenti interpretativi fondati su molteplici e diverse tematiche e giunge ad affermare che il giudicato ultrannuale non avrebbe alcuna correlazione con la potestà accertativa dell’Ufficio: infatti, il giudicato non preclude l’accertamento in sé, ma opera rispetto all’esito dell’accertamento e in merito alla pretesa impositiva. Pertanto, una operazione sarebbe intangibile solamente quanto il giudicato ne affermi la sua legittimità.
Considerazioni conclusive
La pronuncia in commento assume una notevole importanza non solo in ragione del fatto che è stata emessa dalla Suprema Corte a Sezioni Unite ma, soprattutto, perché dovrà essere presa in considerazione dagli operatori economici che avranno l’onere, in primo luogo, di conservare tutta la documentazione inerente alle componenti reddituali aventi efficacia pluriennale anche oltre il termine massimo previsto dalle singole leggi di imposta o dallo Statuto dei Diritti del Contribuente.
La stessa Corte evidenzia che, nel nostro ordinamento, non sono affatto remote le ipotesi di componenti reddituali che esplicano effetti su plurimi periodi di imposta: al riguardo, nella sentenza, oltre a richiamare – ovviamente – proprio la questione della deducibilità della svalutazione del credito o degli interessi passivi, si pone mente, per esempio, a tutta la tematica delle detrazioni di imposta ex art. 16-bis del T.U.I.R.
Oggi, in seguito alle norme introdotte in occasione dell’emergenza epidemiologica COVID-19, si pensi anche alle agevolazioni previste dall’art. 119, d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. superbonus 110%).
Pertanto, appare evidente che la tematica oggetto della sentenza presenta significative e pregnanti ripercussioni nella vita di cittadini ed imprese.
Purtroppo, come peraltro prontamente segnalato dalla dottrina, le ripercussioni sui contribuenti sono assolutamente gravose perché impongono un onere di conservazione della documentazione che può raggiungere anche una durata di 30 o 40 anni (si pensi ai casi di ammortamento di beni immobili).
Non è ragionevole pensare che, nel breve periodo, la Suprema Corte riveda il proprio orientamento e, pertanto, appare necessario che i contribuenti, a loro tutela, si adoperino da subito per conservare la documentazione relativa alle operazioni economiche che danno luogo a componenti reddituali aventi efficacia pluriennale.
fonte: http://www.altalex.com/