Telecamere in garage? Le riprese sono utilizzabili a fini investigativi

Telecamere in garage? Le riprese sono utilizzabili a fini investigativi.
Il box cassa di un’autorimessa non costituisce “domicilio”, per cui nessuna pretesa alla riservatezza se il luogo è aperto al pubblico e l’azione può essere osservata da estranei

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Sono utilizzabili come mezzo di prova le videoregistrazioni a fini investigativi effettuate nel box cassa di un’autorimessa, poiché questo luogo non costituisce “domicilio” nel senso di privata dimora e l’azione ripresa può essere liberamente osservata dagli estranei trattandosi di un luogo aperto al pubblico.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione V Penale, nella sentenza 11419/2016 che ha colto l’occasione per fornire una dettagliata disamina riguardo l’utilizzabilità probatoria delle videoregistrazioni compiute a fini investigativi, tenendo presente il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità ed ermeneutico della Corte Costituzionale.

Il ricorrente è un uomo condannato per furto aggravato, commesso nella sua qualità di dipendente di un “Garage”, società alla quale aveva sottratto con mezzo fraudolento (la riutilizzazione di scontrini consegnati da alcuni clienti) i proventi incassati nella gestione del servizio di autorimessa esercitato dalla predetta società.

Dinnanzi agli Ermellini, la difesa sostiene l’inutilizzabilità delle videoriprese effettuate all’interno del box cassa a mezzo telecamera installata dagli organi di polizia giudiziaria.
In tal senso viene evidenziato come le videoriprese abbiano contenuto comunicativo e pertanto necessitano quantomeno dell’autorizzazione del giudice per essere utilizzate, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

Inoltre, prosegue la difesa, doveva ritenersi errata la tesi per cui le videoriprese erano state effettuate con il consenso del titolare del luogo in cui venne installata la telecamera e pertanto l’imputato, e non la società proprietaria dell’autorimessa, avrebbe dovuto ritenersi il vero titolare del “domicilio lavorativo” in questione.

I giudici rammentano il consolidato orientamento secondo cui le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico eseguite dalla polizia giudiziaria vanno incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’art. 189 c.p.p.

Quanto a quelle eseguite all’interno del domicilio, invece, bisogna distinguere se oggetto della captazione dono comportamenti comunicativi o non comunicativi: mentre nel primo caso la disciplina applicabile è quella dettata dagli artt. 266 e ss. c.p.p., nel secondo le operazioni di videoregistrazione non possono essere eseguite, in quanto lesive dell’art. 14 Cost..
Ne consegue che è vietata la loro acquisizione ed utilizzazione e, in quanto prova illecita, non può trovare applicazione la disciplina dettata dal citato art. 189 del codice di rito.

Nel caso in esame deve essere valutato se il box all’interno del quale il ricorrente svolgeva le sue mansioni possa o meno essere qualificato come domicilio, giacché dalla stessa dipende sia la rilevanza o meno della natura dei comportamenti captati, sia quella della eventuale necessità che gli atti investigativi venissero compiuti seguendo la procedura delle intercettazioni

Il collegio esclude che il locale summenzionato possa essere equiparato ad un vero e proprio domicilio, anche nella più vasta accezione di “domicilio lavorativo” accolta in alcuni arresti giurisprudenziale: infatti, il concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza.
In altre parole la vita personale che vi si svolge, anche se per un periodo di tempo limitato, rende il domicilio un luogo che esclude violazioni intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che ne ha la titolarità, perché il luogo rimane connotato dalla personalità del titolare, sia o meno questi presente.

Il box cassa non assume tali connotazioni: tale locale era di utilizzo promiscuo a tutti i dipendenti della società e le mansioni tipiche che al suo interno svolgeva l’imputato venivano svolte anche, secondo una programmata turnazione, da altri suoi colleghi.

La Cassazione ricorda che il giudice delle leggi, nell’occuparsi di questi temi (Corte Cost. n. 135/2002, ma soprattutto n. 149/2008), ha avuto modo di precisare come, affinché sussista la tutela di cui all’art. 14 Cost., non basta che un certo comportamento attinente alla sfera personale venga tenuto in luoghi di privata dimora; occorre, altresì, che esso avvenga in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ai terzi.

Se l’azione, invece, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, può essere liberamente osservata dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio non può accampare una pretesa alla riservatezza e le videoregistrazioni a fini investigativi soggiacciono al medesimo regime valevole per le riprese visive in luoghi pubblici o aperti al pubblico.

In tale ipotesi, secondo la Corte Costituzionale, le videoregistrazioni non differiscono dalla documentazione filmata di un’operazione di osservazione o di appostamento, che ufficiali o agenti di polizia giudiziaria potrebbero compiere collocandosi, di persona, al di fuori del domicilio del soggetto bersaglio.

Viene in conto cioè, quale criterio dirimente, quello della visibilità non protetta di tale luogo, che lo caratterizza per l’appunto come luogo esposto al pubblico. Correttamente dunque i giudici dell’appello hanno posto l’accento sul fatto che il box avesse un’ampia vetrata che rendeva visibile all’esterno ciò che avveniva al suo interno.

Il ricorso va rigettato e al ricorrente non resta che il pagamento delle spese processuali e la refusione di quelle di parte civile.

fonte: http://www.studiocataldi.it/

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