Equitalia: rate da 50 euro al mese per tutti i debiti fino a 50mila euro

Equitalia: rate da 50 euro al mese per tutti i debiti fino a 50mila euro
La novità annunciata dall’ad della società Ernesto Maria Ruffini

img1rewTutte le cartelle esattoriali entro i 50mila euro saranno rateizzate con pagamenti fino a 50 euro mensili e la proposta di rateizzazione sarà inserita direttamente nella comunicazione. Ad annunciarlo è l’amministratore delegato di Equitalia, Ernesto Maria Ruffini, in un’intervista al Messaggero. “È un sistema – già – in sperimentazione a Varese, Firenze e Lecce” ha detto l’ad e che presto sarà esteso perché “i contribuenti gradiscono, i fogli tornano indietro sottoscritti”. “Non fa mai piacere ricevere una cartella – ha dichiarato infatti Ruffini – ma vedere subito che si può pagare gradualmente spinge a togliersi il pensiero. Nella stessa logica, i contribuenti possono fare la domiciliazione bancaria. Sembra una sciocchezza, ma a volte si saltano le rate per dimenticanza”.

Quanto alle notifiche, a partire da giugno, ha sottolineato l’ad di Equitalia i soggetti obbligati ad avere la pec, le riceveranno solo tramite tale modalità, mentre per tutti gli altri, libera scelta.

Sui cambiamenti annunciati della società di riscossione, confermata la scomparsa delle tre società Equitalia Nord, Centro e Sud, a favore dell’unica Equitalia Servizi riscossione che opererà su tutto il territorio nazionale. Questo dal prossimo primo luglio. “In termini calcistici – ha spiegato Ruffini al quotidiano romano – dalla marcatura a uomo passiamo a quella a zona” al fine di disperdere meno energie, offrire un servizio migliore e risparmiare “300mila euro l’anno di spese”.

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Avvocati: assicurazione, obbligo “congelato”

Avvocati: assicurazione, obbligo “congelato”
Uno dei 6 requisiti per rimanere iscritti all’albo in vigore dal 22 aprile non è ancora operativo, in attesa del decreto ad hoc

Non c’è ancora nessun obbligo di assicurarsi per rimanere iscritti nell’albo degli avvocati. Nonostante, infatti, il regolamento del ministero della giustizia (n. 47/2016) che fissa le regole per l’accertamento dell’esercizio della professione “in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente” approdato in GU nei giorni scorsi preveda espressamente tra i 6 requisiti necessari, anche quello di aver stipulato una polizza assicurativa ex art. 12 della l. n. 247/2012, manca ancora il decreto ad hoc di via Arenula.

La legge professionale forense stabilisce, infatti, all’art. 12, comma 5, che il ministero dovrà determinare, con apposito decreto, le condizioni essenziali della polizza, nonché dei massimali minimi di polizza”.

Per cui, come già affermato in tal senso dal Cnf con parere n. 35/2015 tale obbligo, pur entrando formalmente in vigore il 22 aprile prossimo, è da intendersi differito, nell’attesa del provvedimento ministeriale.

Attesa che, peraltro, non dovrebbe durare a lungo, visto che il provvedimento risulta già messo a punto dal ministero e non appena varato seguirà un iter più rapido rispetto agli altri, non prevedendo tutti i pareri indicati dall’art. 1 della legge forense.

L’obbligo assicurativo, come sottolineato dallo stesso Cnf, si ricorda, prevede due diverse fattispecie: la prima relativa alla stipula di “una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione compresa quella per la custodia di documenti, somme di denaro, titoli e valori ricevuti in deposito dai clienti”; la seconda, riguardante l’obbligo di stipulare “una ulteriore polizza assicurativa a copertura degli infortuni derivanti a sé e ai propri collaboratori, dipendenti e praticanti in conseguenza dell’attività svolta nell’esercizio della professione anche fuori dei locali dello studio legale, anche in qualità di sostituto o di collaboratore esterno occasionale”.

Avvocati: addio alle specializzazioni

Avvocati: addio alle specializzazioni
Il Tar del Lazio boccia il regolamento e accoglie i ricorsi presentati dall’Oua, dall’Anf e dai Consigli dell’Ordine

img144Una vera disfatta per le specializzazioni forensi che ieri sono state bocciate dal Tar Lazio (con le sentenze nn. 4424/2016, 4426/2016, 4428/2016) in accoglimento parziale dei ricorsi presentati dall’Oua, dall’Anf e da alcuni Consigli dell’Ordine.

Questione centrale nelle decisioni del giudice amministrativo, sulla quale si erano concentrate da subito le polemiche, è la previsione delle 18 materie di specializzazione, nei confronti delle quali il Tar va giù con mano pesante sottolineando come “né dalla mera lettura dell’elenco, né dalla relazione illustrativa del Ministero – è dato cogliere – quale sia il principio logico che ha presieduto alla scelta”. Ed infatti, si osserva in sentenza “non risulta rispettato né un criterio codicistico, né un criterio di riferimento alle competenze dei vari organi giurisdizionali esistenti nell’ordinamento, né infine un criterio di coincidenza con i possibili insegnamenti universitari, più numerosi di quelli individuati dal decreto”. Un elenco incompleto peraltro già rilevato dal Consiglio di Stato che si era pronunciato in sede consultiva sullo schema di regolamento, con rilievi ai quali il ministero si è adeguato solo parzialmente, senza “un unitario filo logico di selezione”.
Da qui, “considerata la delicatezza della disciplina posta e la necessaria funzionalizzazione della normazione secondaria alla perseguita finalità di rendere il mercato delle prestazioni legali più leggibile per i consumatori”, deriva l’impossibilità di condividere la tesi della difesa, secondo la quale la censura impingerebbe in una valutazione di merito riservata all’amministrazione, poiché anche le valutazioni e le scelte rimesse all’attività regolamentare “non possono sottrarsi al rispetto dei principi di intrinseca ragionevolezza e di adeguatezza rispetto allo scopo perseguito”.

Oltre all’annullamento dell’art. 3, altro punto censurato dal consesso amministrativo è la necessità dello svolgimento di un colloquio davanti al Consiglio nazionale forense da parte di chi intende ottenere il titolo di specialista contando sulla precedente esperienza, ex art. 6 del regolamento.

L’assenza di specificazioni e di definizioni puntuali è tale, a detta del Tar, “da conferire al Consiglio nazionale forense una latissima discrezionalità operativa, che, oltre ad essere foriera di confusione interpretativa e distorsioni applicative (con ricadute anche in punto di concorrenza tra gli avvocati), si pone in assoluta contraddizione con la funzione stessa del regolamento in esame, che, ai sensi dell’art. 9 della legge, è quella di individuare un procedimento di conferimento definito in maniera precisa e dettagliata, a tutela dei consumatori utenti e degli stessi professionisti che intendano conseguire il titolo”.

Ad uscire indenni invece dalla mannaia amministrativa, gli altri punti contestati, come la previsione di un numero di materie oggetto di specializzazione, la necessità di un minimum di incarichi annui nella specifica materia e, più in generale, il potere regolatorio da parte del ministero e l’attribuzione di competenze al Cnf.

Rimane comunque la ferma censura di elementi importanti che obbliga ora il ministero a procedere con una riscrittura del regolamento, salvo l’ipotesi di eventuali ricorsi, scoraggiati però dal richiamo del Tar alle originarie osservazioni formulate nello stesso senso da parte del Consiglio di Stato.

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Rumori: il condomino ha diritto di sapere quanto è rumoroso il climatizzatore del vicino

Rumori: il condomino ha diritto di sapere quanto è rumoroso il climatizzatore del vicino
Per il Tar del Lazio si tratta di un’informazione ambientale garantita dal d.lgs. n. 195/2005

come-richiedere-le-detrazioni-fiscali-per-lavori-in-condominio_9078ce84eebffd916ae1f8b0ce088037Se nel condominio c’è un impianto di condizionamento dell’aria rumoroso, il singolo condomino ha diritto a sapere a quanto ammontano le immissioni sonore che questo produce. Nel fare ciò, deve rivolgersi all’Agenzia regionale che tutela l’ecosistema.
Per il Tar del Lazio, secondo quanto esposto con la sentenza numero 4018/2016 depositata il 4 aprile scorso, quella sopra individuata è un’informazione ambientale che, come tale, trova garanzia nel decreto legislativo numero 195/2005 con il quale l’Italia ha recepito la direttiva dell’Unione Europea in materia.

Non si rimane, insomma, all’interno dei più stretti confini della normativa sulla trasparenza contenuta nella legge numero 241 del 1990: il diritto di scoprire quanti decibel produce l’impianto va tutelato pienamente.

Non importa che il climatizzatore abbia carattere privato e sia al servizio solo di alcuni negozi: l’autorità pubblica deve rendere nota l’informazione ambientale a chiunque ne faccia richiesta, indipendentemente dalla dimostrazione di un interesse.

Se poi si considera che nel caso di specie il richiedente, vivendo nello stabile nel quale si trovava l’impianto, aveva addirittura un evidente interesse qualificato, nulla gli potrebbe impedire di scoprire i decibel. Peraltro le rilevazioni Arpa erano state compiute proprio nel suo appartamento.

Insomma: la richiesta di avere maggiori informazioni sui rumori presenti in condominio è tutt’altro che irragionevole e il condomino ha diritto di ottenere risposta.

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Stop al canone Rai in bolletta

Stop al canone Rai in bolletta
Il Consiglio di Stato boccia il decreto attuativo

canone raiColpo di scena per la telenovela senza fine del canone Rai. A pochi giorni dalla prima scadenza del 30 aprile per l’invio dell’autocertificazione per non pagare l’imposta, il Consiglio di Stato ha bocciato il decreto attuativo della misura inserita nella legge di stabilità. Per il giudice amministrativo il decreto del ministero dello sviluppo è in sostanza da riscrivere, a partire dal fatto che non dà una definizione “di cosa debba intendersi per apparecchio televisivo” sino alla mancanza di qualsiasi riferimento “allo scambio dati tra vari enti coinvolti necessario per l’addebito in bolletta”. Per non parlare della poca chiarezza del testo.

Così, il Consiglio rispedisce il decreto al mittente chiedendo di porre rimedio alle diverse criticità riscrivendolo. Ma non solo. Per palazzo Spada la nuova modalità di riscossione del canone tv pone anche un problema di privacy, considerata la notevole mole di dati che saranno scambiati tra gli enti coinvolti (Aeeg, ministeri, comuni, anagrafe tributaria , società private), senza che il decreto preveda alcunché sulla garanzia del rispetto della normativa sulla riservatezza.

E se il governo minimizza ritenendo la bocciatura un “utile suggerimento”, immediata è la reazione delle associazioni dei consumatori.

“Il Consiglio di Stato ha bocciato l’idea balzana del canone Rai in bolletta, partorita da un governo apprendista stregone, che vuole continuare a stangare i cittadini” segnalano Adusbef e Federconsumatori. Si tratta – proseguono – di un “intollerabile” tentativo “di fare cassa sulle tasche delle famiglie, che sono libere di decidere se possedere o meno un televisore. Se la Rai vuole avere a disposizione più risorse faccia la sua parte: operi a tutto spiano tagli agli sprechi, ai privilegi, agli abusi, evitando di assumere esterni con contratti milionari secretati direttamente proporzionali ai flop negli ascolti, invece di valorizzare le eccellenti risorse umane interne, e si concentri sull’offerta di un servizio pubblico di qualità che punti veramente sui contenuti, sulla cultura e sull’informazione”.

Ancora più duro il Codacons, secondo il quale la conseguenza del parere del Consiglio di Stato sarà quella di non “inserire il canone in bolletta, almeno fino a che non saranno superate le pesanti criticità rilevate”, spiega il presidente Carlo Rienzi. Il Governo – sottolinea Rienzi – “deve ora sospendere il decreto e apportare tutte le correzioni richieste dai giudici. L’unica cosa certa in mezzo ai tanti dubbi e alla totale mancanza di informazioni per i cittadini, è che sul canone Rai in bolletta regna il caos più totale, motivo per cui il Governo farebbe bene a rinunciare del tutto al provvedimento”.

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Isee 2016: guida pratica alla compilazione

Isee 2016: guida pratica alla compilazione
Cos’è e come va compilato oggi l’indicatore della situazione economica equivalente

iseeDal 1998 nel nostro ordinamento è in vigore un indicatore della situazione economica dei nuclei familiari necessario per accedere alle prestazioni sociali e sociosanitarie in moneta e in servizi: l’Isee.
Quest’anno tale modello ha cambiato volto, con l’obiettivo di garantire una valutazione più corretta ed equa della condizione economica dei cittadini e del reddito disponibile e una differenziazione a seconda della prestazione che con esso si vuole richiedere.

Cerchiamo quindi di capire brevemente come funziona oggi l’Isee.

Tipi di modello
Come accennato, di modelli Isee oggi ce ne sono più di uno.

Innanzitutto vi è quello ordinario, con il quale è possibile calcolare la maggior parte delle prestazioni sociali messe a disposizione dei cittadini dallo Stato.

Se però la prestazione che si intende richiedere è di particolare natura sociale o sanitaria e rientra in un determinato elenco, occorre utilizzare il modello Isee sociosanitario. Esso, più nel dettaglio, è dedicato alle ipotesi di ricovero in particolari strutture per soggetti che non sono autosufficienti, di bonus per gli acquisti o i servizi a favore dei disabili, di prestazioni di assistenza domiciliare.

Vi è inoltre l’Isee corrente che tiene conto, ove ciò sia necessario, dei redditi degli ultimi 12 mesi ed è funzionale ad offrire una visione della situazione economica effettiva anche qualora la stessa sia stata viziata da eventi avversi come ad esempio la perdita del lavoro.

Se all’interno del nucleo familiare vi è solo un genitore e un figlio minorenne, il modello da utilizzare è l’Isee minorenni.

Per gli studenti che intendano richiedere prestazioni inerenti il diritto allo studio vi è, poi, l’Isee università che prevede diverse tipologie di calcolo dell’indicatore e in cui lo studente rientra nel nucleo familiare anche se non è più convivente per ragioni di studio, a meno che non dimostri la propria indipendenza economica.

Infine, vi è l’Isee integrativo che va utilizzato se ci sono delle variazioni da comunicare rispetto al modello Isee già presentato.

Come calcolare l’Isee 2016
Il calcolo del valore Isee viene fatto sulla base dei dati forniti dai cittadini e ricavati dall’Inps e tenendo conto del rapporto tra la somma dei redditi e la scala di equivalenza.

La somma dei redditi, in particolare, deve tenere conto dei redditi agrari, dei redditi di capitale, dei redditi di lavoro dipendente, dei redditi di lavoro autonomo, dei redditi d’impresa e dei redditi diversi.

La scala di equivalenza, invece, non è altro che uno strumento matematico che permette di comparare i redditi delle famiglie con una diversa struttura.

Documenti utili
Per ottenere il modello Isee 2016 è necessario avere a disposizione specifici documenti.

In particolare sono richiesti il codice fiscale dei componenti del nucleo familiare, il documento di riconoscimento del richiedente o del suo tutore o rappresentante legale, l’eventuale contratto di affitto per l’appartamento nella sede dell’università, i redditi relativi ai due anni precedenti la DSU, il patrimonio mobiliare e quello immobiliare relativi al 31 dicembre dell’anno precedente la compilazione della DSU, informazioni sugli autoveicoli e le imbarcazioni da diporto.

Sono eventualmente richiesti, poi, anche documenti più specifici: i portatori di handicap, ad esempio, devono produrre anche la certificazione relativa all’handicap o un documento che attesti eventuale spese per il ricovero in strutture residenziali o per l’assistenza personale.

Novità del modello Isee 2016
Ma in cosa differisce in modello Isee 2016 rispetto a quello degli anni precedenti? La principale novità va rinvenuta nel fatto che esso include oggi molti redditi che prima erano esclusi.

Le modifiche, però, non si fermano qui: vediamone alcune.

Innanzitutto sono cambiate le denominazioni relative alle caselle di riferimento per i minorenni senza redditi né patrimonio: esse si rinvengono ora nel quadro A, moduli MB.1 e MB.2.

È cambiato poi anche il quadro relativo agli studenti universitari con unico genitore separato: è nella prima casella che oggi si deve infatti precisare che nel nucleo familiare vi è un solo genitore, mentre l’altro è separato o comunque non legalmente convivente.

Si è inoltre chiarito che nel patrimonio mobiliare vanno indicate anche le carte prepagate con Iban e i trasferimenti di denaro tra familiari e che nella sezione rimborsi spese i contributi a tale titolo non vanno riportati solo se le spese sono state rendicontate.

Nel quadro FC8 del Modulo FC3 è poi stata inserita un’apposita casella, da barrare nel caso in cui un componente del nucleo familiare non debba presentare la dichiarazione fiscale o usufruisca della sospensione degli adempimenti tributari a seguito di eventi eccezionali.

Un’ultima novità rilevante riguarda esclusivamente il modello Isee università e consiste nel tener conto, se lo studente ha contratto matrimonio, anche del reddito del coniuge.

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Liti tributarie: niente più facili compensazioni per le spese

Liti tributarie: niente più facili compensazioni per le spese
A seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 156/2015, la compensazione può derivare solo da ragioni gravi, eccezionali e espressamente motivate

tributiA seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo numero 156/2015, contestuale all’avvento del nuovo anno, oggi le commissioni tributarie non potranno più dichiarare la compensazione delle spese di giudizio così semplicemente come in passato.
Infatti, con l’obiettivo di esonerare il contribuente da spese e oneri gravosi anche in caso di vittoria, la compensazione delle spese di giudizio può essere decisa solo se vi è soccombenza reciproca o, comunque, sussistano ragioni gravi, eccezionali e espressamente motivate.

Più precisamente i casi in cui è ancora possibile compensare le spese nel rito tributario possono essere ricondotti a cinque.

Alla soccombenza reciproca si affianca il caso in cui la causa sia particolarmente complessa e manchi un orientamento giurisprudenziale consolidato in materia.

Un’ulteriore ipotesi in cui il giudice è ancora legittimato a compensare le spese è quella in cui, nonostante il ricorso non sia stato accolto, il contribuente ha comunque tenuto una condotta diligente e ha agito con buona fede in sede sia giudiziale che stragiudiziale.

È possibile compensare, infine, laddove nella materia decisa sussistano pronunce di legittimità contrastanti e non vi sia una prassi interpretativa consolidata e nel caso in cui la dichiarazione di illegittimità dell’atto di accertamento e la sua conseguente nullità derivino da motivi di diritto formali.

Insomma: il contribuente che vinca in giudizio non sarà più costretto ingiustamente a farsi carico delle spese legali per la gestione del contenzioso come troppo spesso avveniva, ma tale evenienza si verificherà solo in ipotesi eccezionali.

Tali ipotesi, però, come accennato potrebbero anche risultare connesse all’atteggiamento del contribuente, al quale è quindi consigliabile, in sede di ricorso, porre l’accento sulla sua buona fede e sul fatto di aver inutilmente tentato di far valere bonariamente le proprie ragioni e sostenere in maniera decisa la vittoria di spese e onorari.

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Sgravi contributivi per i neoassunti: come funzionano

Sgravi contributivi per i neoassunti: come funzionano
I chiarimenti dell’Inps nella circolare allegata sulla versione 2016 delle agevolazioni per chi assume

lavoroCon circolare numero 57, pubblicata il 29 marzo 2016, l’Inps fornisce le indicazioni operative per la gestione degli adempimenti previdenziali connessi all’esonero contributivo per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel corso del 2016.
Più nel dettaglio, allo scopo di incentivare forme di occupazione stabili e limitatamente alle assunzioni effettuate nel 2016, la Legge di Stabilità 2016 prevede l’esonero dai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, nella misura del 40% dell’ammontare dei contributi medesimi, con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all’Inail, nel limite massimo di un importo di esonero pari a 3.250 euro su base annua.

La durata del beneficio è pari a 24 mesi a partire dalla data di assunzione.
L’esonero contributivo spetta alla condizione che, nei sei mesi antecedenti l’assunzione, il lavoratore non sia stato occupato presso qualsiasi datore di lavoro con contratto a tempo indeterminato, mentre è esclusa l’applicazione del beneficio qualora, nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della Legge di Stabilità, il lavoratore assunto abbia avuto rapporti di lavoro a tempo indeterminato con il datore di lavoro richiedente l’incentivo ovvero con società da questi controllate o a questi collegate.

L’esonero riguarda tutti i datori di lavoro privati e anche i datori di lavoro agricoli, sia pure per questi ultimi con misure, condizioni e modalità di finanziamento specifiche. Restano esclusi dal beneficio i contratti di apprendistato e i contratti di lavoro domestico, in relazione ai quali la normativa vigente già prevede l’applicazione di aliquote previdenziali in misura ridotta rispetto a quella ordinaria.

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Canone Rai: da oggi via alle domande online per l’esonero

Canone Rai: da oggi via alle domande online per l’esonero
Disponibile a partire da oggi l’applicazione per l’invio del modello di autocertificazione sul sito delle Entrate

raiScatta da oggi la possibilità di presentare online l’autocertificazione per ottenere l’esonero dal pagamento del canone Rai. A comunicarlo è l’Agenzia delle Entrate nella sezione dedicata all’abbonamento alla tv di Stato, rendendo noto che a partire dalla giornata odierna è disponibile l’applicazione web per inviare il modello di dichiarazione sostitutiva direttamente tramite il sito istituzionale.

I contribuenti che sceglieranno la modalità telematica, ricorda la stessa agenzia, avranno tempo per la presentazione fino al 10 maggio 2016, mentre chi decide di procedere tramite l’invio cartaceo (con raccomandata a/r) la scadenza è il 30 aprile.

Sono valide, comunque, le dichiarazioni presentate dal 1° gennaio 2016 al 24 marzo 2016 (data di pubblicazione del provvedimento direttoriale delle Entrate) su modelli non conformi a quello approvato, a condizione che siano rese ai sensi dell’articolo 47 del d.p.r. n. 445/2000 e che contengano tutti gli elementi richiesti dal modello di dichiarazione approvato per la specifica tipologia di dichiarazione resa.

La domanda riguarda l’esonero dall’obbligo di pagamento del canone per tutto l’anno 2016.

Per accedere nuovamente all’esenzione per il 2017, qualora ne sussistano i requisiti bisognerà ripresentarla dal 1° luglio 2016 al 31 gennaio 2017.

Si ricorda che l’esonero dal pagamento del canone Rai 2016 è previsto solo nell’ipotesi di mancato possesso di un apparecchio televisivo nella propria abitazione, mentre non è più possibile disdire l’abbonamento richiedendo il suggellamento dell’apparecchio tv. Altri casi particolari di esonero riguardano gli over 75 con reddito lordo complessivo fino a 6.713,98 euro (finchè non sarà emanata il decreto del Mef che amplia la soglia dell’esenzione fino a 800 euro annui), i diplomatici e militari stranieri.

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Aumento dell’Iva al 25,5%, è inevitabile

Aumento dell’Iva al 25,5%, è inevitabile.
Ad affermarlo è il rapporto della Corte dei Conti diffuso in questi giorni che sostiene la necessità e la fattibilità di un intervento sull’imposta

iva

Negli ultimi tempi, si è assistito ad una continua lotta tesa a “sterilizzare”, “scongiurare” o “disinnescare” le famose clausole di salvaguardia, ossia quell’assegno in bianco che il Governo ha firmato a garanzia dei tagli alla spesa, con la spada di Damocle sulla testa (degli italiani!) dell’aumento dell’Iva in caso di mancato recupero delle risorse utilizzate.

L’ultima “sterilizzazione” si è avuta con la legge di Stabilità 2016 che ha rinviato il problema dell’aumento dell’Iva che doveva scattare quest’anno, al prossimo. Ma ora, l’aumento per il prossimo anno si rivela inevitabile e, anzi, “giustificato e preferibile” ad altre forme di imposizione indiretta. A dirlo non è l’esecutivo ma la Corte dei Conti nel rapporto 2016 diffuso in questi giorni sul coordinamento della finanza pubblica.

L’aumento dell’Iva, fino a un massimo del 13% per le aliquote oggi al 10% e fino al 25,5% per quelle al 22% si rivela, per i magistrati contabili, non solo necessario sul versante delle entrate – visto che tagliando le spese fiscali, un contributo è pur sempre dovuto – ma anche tra “i meno distorsivi quanto a impatto sull’economia”.

L’Italia, infatti, è fanalino di coda nella graduatoria europea sul rendimento dell’imposta sul valore aggiunto e sarebbe preferibile un aumento della stessa, che resterebbe nell’area individuata dalla clausola di salvaguardia, con una ridistribuzione tra aliquota ordinaria e agevolata (nel senso di un ampliamento del perimetro di quest’ultima), piuttosto che l’azione su altre forme di imposizione come Irpef, Irap (o altre) che risulterebbe limitata, parziale e lontana da ogni soluzione di riforma strutturale.

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