Il comune che fa ostruzionismo nel rilascio del permesso di costruire è tenuto a risarcire i danni

Il comune che fa ostruzionismo nel rilascio del permesso di costruire è tenuto a risarcire i danni.

Per il Tar Liguria ad essere leso è l’interesse legittimo pretensivo del privato con inutili aggravi dei tempi di rilascio del provvedimento lavoro lavoratore costruzione

permesso-di-costruireSe il Comune lede l’interesse legittimo pretensivo del privato, a causa di inutili aggravi dei tempi di rilascio del permesso di costruire, è tenuto al risarcimento.
Il caso.

Un’azienda aveva chiesto il permesso di costruire per un impianto di energia elettrica da biomasse, opera rientrante in un accordo di programma siglato da vari enti, tra cui il comune e la società ricorrente, e aveva già ottenuto la VIA (valutazione di impatto ambientale) dalla Regione nonché l’autorizzazione della Provincia.

Il comune, però, anziché rilasciare il titolo abilitativo edilizio, aveva archiviato la pratica, aveva poi richiesto la revoca alla Provincia in autotutela, e in seguito aveva addirittura asserito il mancato rispetto delle prescrizioni della VIA.

Per arrivare in fondo al procedimento amministrativo, e quindi ottenere il permesso di costruire, l’azienda ha dovuto appellarsi al Consiglio di Stato, chiedendo anche il risarcimento per i costi sostenuti inutilmente e per i mancati ricavi.
La decisione

Il TAR Liguria (sentenza 933/2015) ha accolto la richiesta di risarcimento, condannando il comune ma a solo titolo di danno emergente, e non quindi anche per il lucro cessante (i margini da mancati ricavi).

Il tribunale amministrativo ha accertato il diritto del ricorrente, in quanto in capo al comune non c’era alcun margine per esercitare alcuna discrezionalità, che addirittura non avrebbe tenuto conto della semplificazione per le autorizzazioni relative agli impianti rinnovabili di cui all’art. 12 D. Lgs. 387/2003, vale a dire l’autorizzazione unica provinciale.

Il TAR Liguria ha quindi ritenuto che si fosse concretamente verificata la lesione di un interesse meritevole di tutela (nel caso di specie, l’interesse legittimo pretensivo, cioè quello di ottenere un vantaggio da un atto amministrativo), e ha condannato il comune a risarcire il danno da ritardo per gli «atti e comportamenti ostruzionistici» nel rilascio del permesso di costruire, precisando che in casi del genere la lesione è procurata in violazione dei principi generali di economicità ed efficacia che informano l’azione amministrativa.

Circa i presupposti per il risarcimento, il TAR ha anche ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la condotta del comune e il danno da ritardo, poiché tutte le altre amministrazioni coinvolte nel procedimento avevano già adottato i provvedimenti di loro competenza

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Niente più segreti sui redditi dell’ex: ampio accesso all’anagrafe tributaria

Niente più segreti sui redditi dell’ex: ampio accesso all’anagrafe tributaria.

Per il Tar di Catania il diritto di accesso ai documenti amministrativi spetta all’ex su tutte le informazioni finanziarie relative all’altro coniuge
divorzio separazione mantenimento

tar-di-cataniaNon ci saranno più segreti sui dati fiscali dell’ex coniuge, perché l’altro potrà avere ampio accesso all’anagrafe tributaria. Così, il marito potrà conoscere ogni singolo quadro del modello unico dell’ex moglie (o viceversa), visionando tutte le informazioni relative a conti correnti, entrate o altri rapporti finanziari presenti nei database del fisco.

Ad affermarlo è la recente sentenza del Tar di Catania (n. 29/2016), accogliendo la richiesta di un uomo avverso il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate sulla domanda di accesso agli atti relativi alla documentazione fiscale dell’ex moglie.

La vicenda prende le mosse dal giudizio di separazione instaurato presso il giudice civile, nel corso del quale la moglie chiedeva un assegno di mantenimento per sé e per la figlia.

Il marito, allora – al fine di tutelare i propri interessi e dimostrare le concrete disponibilità reddituali e le risorse economiche dell’ex consorte, contrastando il suo diritto al mantenimento e potendo stabilire l’esatta misura dell’assegno alla figlia – chiedeva alle entrate di esercitare il diritto d’accesso alla situazione fiscale della moglie, ivi comprese le operazioni di natura finanziaria e i rapporti di qualsiasi genere riconducibili alla stessa, relativamente agli anni di imposta 2011-2013.

Non ricevendo risposta dall’amministrazione, l’uomo adiva il giudice amministrativo.

Il tar rilevava innanzitutto che le entrate avevano inoltrato, di fatto, la documentazione all’indirizzo pec del difensore dell’uomo, ma l’accesso era stato consentito solo parzialmente, ovvero ai dati inerenti l’ammontare complessivo dei redditi (ossia i quadri RN dei modelli unico 2012, 2013 e 2014) e non già a tutti i quadri richiesti.

Bacchettando l’amministrazione, il Tar catanese ricorda che “il diritto di accesso ai documenti amministrativi spetta a chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.

E, nello specifico, tutti i documenti chiesti in visione possono essere accessibili. Per cui il marito potrà avere contezza, a partire dal 2011, di tutte le informazioni finanziarie riguardanti la moglie e risultanti dall’anagrafe tributaria.

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Multa da 500mila euro dall’Antitrust al Cnf per le tariffe

Multa da 500mila euro dall’Antitrust al Cnf per le tariffe
Dimezzato l’originario importo della sanzione di quasi un milione di euro dopo il ricorso al Tar

antitrust5Si chiude così la vicenda iniziata nell’ottobre 2014, con una maxi-sanzione di 912mila euro al Cnf, (leggi: “Tariffe forensi: maximulta da oltre 912mila euro al CNF per le limitazioni alla libera concorrenza”), ritenuto colpevole di aver perpetrato (e continuato) due condotte restrittive: l’aver ipotizzato quale illecito disciplinare la richiesta di compensi inferiori ai minimi tariffari (cfr. circolare n. 22-C/2006) e l’aver ostacolato la pubblicità dell’attività professionale tramite il canale AmicaCard che evidenziava la convenienza economica delle prestazioni offerte (parere n. 48/2012).

Il Cnf aveva proposto ricorso al Tar del Lazio, il quale aveva parzialmente accolto le doglianze, non condividendo in particolare l’assunto dell’Authority, secondo cui l’aver ripubblicato la circolare n. 22-C/2006, sul proprio sito internet, rappresentasse la volontà (anticoncorrenziale e dunque sanzionabile) da parte del consiglio di reintrodurre l’obbligo dei minimi tariffari.

Per cui, a detta del Tar, il quantum della sanzione andava rivisto, tenendo conto anche della durata e non solo della gravità dell’infrazione. Il giudice amministrativo rimetteva quindi all’autorità il compito di rideterminare l’ammontare della multa, ferma restando comunque l’illegittimità della condotta del consiglio relativamente all’utilizzo dei canali digitali per pubblicizzare le prestazioni professionali. Condotta alla quale peraltro il Cnf sta già riparando con la rimodulazione dell’art. 35 del codice deontologico.

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